Monday, December 19, 2005

CINEmotional

2001: odissea nello spazio
TITOLO ORIGINALE: 2001: a space odyssey

REGIA: Stanley Kubrick


DURATA: 160'

ANNO: 1968
SOGGETTO: tratto dal racconto "The Sentinel" di Arthur C. Clarke
SCENEGGIATURA: Stanley Kubrick e Arthur C. Clarke

EFFETTI SPECIALI: Tom Howard, Stanley Kubrick, Col Pederson, Douglas Trumbull, Wally Veevers
NAZIONALITÀ: U.S.A./Gran Bretagna
CARATTERISTICHE: colore
CAST: Edward Bishop, Keir Dullea, Gary Lockwood, William Sylvester


Trama
Dalla nascita della consapevolezza di esistere da parte dell’uomo primitivo, e delle proprie capacità cerebrali, alla comprensione definitiva del senso della vita, del motivo per cui ci troviamo in questo Universo da parte di un uomo, il capitano Bowman, che ha vinto la paura di essere solo nel Cosmo. La storia delle grandi domande del genere umano punteggiata dall’emblematico apparire del monolito.

Recensione
Qual è il momento in cui nasce l’uomo? Quand’è che parte la grande avventura del genere umano che lo porterà alla conquista dello Spazio? In che momento la Vita ha assunto un significato che va al di là di meccaniche attività molecolari per divenire un esistenziale quesito destinato, finora, a non ottenere risposte? Perché esistiamo? Qual è il fine? Le grandi domande dell’uomo hanno inizio nel momento in cui il primo ominide scopre il pensiero e la possibilità che esso offre di associare due dati semplici per generarne uno nuovo. Dall’utilizzo come arma di un osso ai viaggi nel cosmo il passo è stato brevissimo. Un istante. Esattamente come ci propone la pellicola realizzata nel 1968 da Stanley Kubrick, “2001 Odissea nello Spazio”. Un passaggio istantaneo di inquadratura dal volo della rudimentale arma a quello di una ancora futuristica astronave. Il geniale regista non intende certo dare risposta alle millenarie domande dell’uomo ma letteralmente proiettare tali quesiti fino all’estremo della realtà comprensibile dal genere umano ed oltre la curva costante del Tempo.Se i ritmi lenti delle riprese sono classiche nella cinematografia della fine degli anni ‘60, è impossibile non avvertire l’accelerazione progressivamente geometrica dell’evoluzione del flusso di conoscenza che plasma l’uomo nel plasmatore della Terra. L’apparire del monolito, invece, mantiene emblematicamente un costante ritmo: quattro volte in tutto. Ecco, lo scorrere del film può, senza timor di critica, essere suddiviso in quattro grandi momenti, corrispondenti alle altrettante inquadrature del monolito. La prima, in un ambiente ostile alla vita, sospettosamente lunare, in cui lo scopo del vivere è chiaro: sopravvivere. E farlo con i mezzi a propria disposizione. Dalla semplice forza muscolare e numerica del branco all’utilizzo di uno strumento il passo è enorme, immenso, profondo quanto gli abissi siderali. E’ il monolito Iche, come un trampolino verticale per catapultarsi in avanti, segna questo punto di confine tra animale e uomo.Accelerazione dei tempi evolutivi e in lampo lo spettatore è immerso nel buio dello Spazio. Un ambiene altrettanto ostile ma non più minaccioso: l’uomo ci viaggia (e telefona) con totale disinvoltura in confortevoli e astronavi abbacinanti in pieno stile Kubrick. L’Odissea umana continua con un altro slancio in avanti con la scoperta del monolito sulla Luna, che spinge l’uomo verso Giove, dove ad attenderlo c’è la penultima tappa del percorso conoscitivo del genere umano. Ma per raggiungerlo occorre la perfezione calcolatoria del super computer Hal 9000 o invece è necessario non aver paura di doversi confrontare con la propria umanità, imperfezione, creatività? Hal tenta di eiminare l’uomo nel momento in cui si sente minacciato proprio da queste umane peculiarità e, nella sua perfetta logica, la perdita dei processi logici (ad opera del capitano Bowman) sono per esso motivo di paura. Autentica, poiché la sua mente calcolatoria era l’unico suo viatico e fine di esistenza. Non così per l’uomo, che invece ha il coraggio (e la curiosità, potentissimo propulsore evolutivo) di superare la barriera della materia viaggiando alla velocità della luce e piegando la curva del Tempo. Kubrick conosceva bene le teorie della Relatività di Einstein, secondo cui un corpo che viaggi alla velocità della luce diviene energia pura e si muove in una dimensione spazio temporale ad arco e non più lineare. Da qui, la possibilità di saltare da un segmento dell’arco a quello posto frontalmente. Viaggiare nel Tempo, quindi. E il capitano Bowman fa ciò che ogni uomo vorrebbe fare e nel contempo ne è assolutamente terrorizzato: vede la la sua morte. Un vecchio che muore sereno e soddisfatto dell’esistenza vissuta. E che, nonostante ciò, nell’attimo di morire, vede davanti a sè torreggiare nuovamente il monolito.E finalmente ha la risposta alla domanda ancestrale ed arcaica: perché?La risposta è la ragione stessa della domanda: la Vita. E l’Odissea, quindi, non può finire poiché ha un andamento circolare. Se esistesse una risposta definitiva, capace di terminare la ricerca dell’uomo, essa rappresenterebbe la distruzione del monolito. e la fine dell’uomo. La cosa importante, ci sussurra Kubrick, è quindi non smettere mai di porsi domande, né di avere paura, né di cercare. Non smettere mai di esere umani.
Diverremmo tanti Hal 9000.

Thursday, December 15, 2005

.COMunica_azione

SISTEMI DI SEGNI

Ogni codice ha un suo sistema di segni.
Il segno è l’insieme di significante e significato.

Esistono differenti tipi di sistemi di segni:

- linguaggio gestuale
- linguaggio iconico
- linguaggio simbolico
- linguaggio verbale

Peirce divide similmente i segni in tre tipi fondamentali:

- Indici La relazione tra segno e cosa denotata è di tipo contiguo o in
connessione fisica con l’oggetto.
es. la banderuola in quanto indice del vento. Il fumo, il dito, ecc.
Anche la fotografia viene fatta rientrare da Peirce in questo tipo di segni in
quanto ci sarebbe una contiguità tra la luce rifratta da un oggetto e il modo in
cui impressiona la pellicola fotosensibile.

- Icone C’è un rapporto di analogia, somiglianza o metafora tra il segno e la cosa
denotata.
E’ importante notare come la scelta dell’analogia usata e dunque delle qualità
pertinenti del segno sia di per se un forte punto di vista in base al quale
andremo a caratterizzare l’interpretazione di una funzionalità o di un contenuto.
Es. E’ tipico il linguaggio dell’immagine pittorica.

- Simboli
La relazione è arbitraria e convenzionale.
Es. la bandiera come simbolo della patria.

Le parole sono un esempio in questo senso sebbene si abbiano delle
eccezioni nelle onomatopeiche.
Rispetto ai pittogrammi che attraverso l’analogia iconica facilitavano la
comprensione del livello denotativo del segno, l’alfabeto ha la
caratteristica dell’economia, ovvero della capacità di trattare concetti
astratti attraverso la combinazione di soli 21 simboli.

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"La parola o il segno che l’uomo usa è l’uomo stesso. Perché il fatto che ogni pensiero è un segno, insieme al fatto che la vita è un seguito di pensieri, prova che l’uomo è un segno. Cosí, il fatto che ogni pensiero è un segno esterno, prova che l’uomo è un segno esterno. In altri termini, l’uomo e il segno esterno sono la stessa cosa, nello stesso senso in cui la parola homo e man sono identiche. Cosí il mio linguaggio è la somma totale di me stesso; poiché l’uomo è il pensiero".

(Charles Sanders Peirce)


Monday, December 12, 2005

CONdivisione... di lettura

FANTASIA
Bruno Munari
Laterza

Fantasia, invenzione, creatività e immaginazione nelle comunicazioni visive. È possibile capire come funzionano queste facoltà umane? Che relazione hanno con l'intelligenza e la memoria?
In questo volume Munari spiega tutto ciò con argomenti chiari e moltissimi esempi visivi noti e ignoti.

Sunday, December 11, 2005

ESSENZIALITÀ RIDOTTA ALL’OSSO: VIAGGIO NEL SOBRIO DESIGN DELL’EX DDR

Rimorso, rimpianto, nostalgia. La differenza tra i primi due, condizionati da complessi di colpa e psicosi di ogni tipo, mi sfugge da sempre. Cerco di ricordarmela, guardo sul vocabolario ogni tanto, se ci penso bene ci arrivo, ma per qualche strano motivo (forse di grande interesse per uno psicanalista) le due parole e i due concetti sono contenuti nello stesso cassetto della mia mente. Quando mi serve la parola, apro e ne estraggo uno a caso. È il tempo che produce invece il sentimento della nostalgia. Indipendentemente dall’oggetto di cui si ammira il ricordo. Fosse anche un mondo grigio, senza libertà, senza prospettive, come quello che cominciava a Berlino Est, merita di essere rispolverato e ricoperto come fonte di ispirazione. Magari per il design del futuro.

Negli ultimi tempi in Germania la cosiddetta “ostalgie”, ovvero la nostalgia per la defunta Repubblica Democratica Tedesca, è stata la centro dell’attenzione. Da pellicole del calibro di “Goodbye Lenin” a programmi televisivi come “Die DDR show”, forme e prodotti del recente passato “ost” sembrano vivere una seconda giovinezza.Dopo essere velocemente scomparsi dagli scaffali della Germania riunificata al grido di “Taste the west”, “Prova il gusto dell’Occidente”, gli storici marchi della DDR sono infatti diventati oggetto di riscoperta.A presentarceli in tutto il loro splendore retrò arriva adesso il volume “DDR design 1949-1989”pubblicato dalla casa editrice Taschen.Pratici, sobri, funzionali, degni eredi della tradizione del Bahuaus e fedeli al loro ruolo di semplici oggetti o merci, i prodotti presentati nel libro non concedono nulla all’immaginazione e si mostrano del tutto ignari di concetti occidentali quali marketing e packaging.Fra i più interessanti quelli relativi alla, diciamo così, “elettronica” come lo scalda-acqua da viaggio ad immersione – in pratica un antigienico ferro, collegato alla corrente, da inserire in un bicchiere – o le bobine-prolunghe che al posto della plastica utilizzano la bachelite.Che dire poi di televisori e impianti stereo, tutti caratterizzati da un design spartano e dal numero limitato di pulsanti.Anche nel campo dell’igiene personale l’essenzialità della produzione DDR balza subito all’occhio: se la grafica delle saponette mette in mostra nel più allegro dei casi il disegno, chissà per quale motivo, di uno sbiadito pappagallo, i rasoi da barba bandiscono qualunque ipotesi multilama o monuso a favore di una sola lametta intercambiabile inserita in un robusto corpo d’acciaio.Quantomeno improbabili invece, se non proprio assurde, le fantasie dei tessuti capaci di mettere insieme scimmiette e fiori, anatre ed automobili, malanzane e pere, rombi insieme a quadrati insieme a righe insieme a qualunque altra figura geometrica: insomma un delirio capace di lasciare senza parole anche il più imaginifico degli stilisti.Eppure se agli inizi degli anni novanta nessuno si sarebbe mai immaginato che avrebbero avuto una seconda vita, oggi questi prodotti hanno riguadagnato un loro spazio non solo nell’immaginario comune ma anche sugli scaffali.Così, rinnovata nell’aspetto e al grido di “Evviva sono ancora viva”, la Club-Cola è tornata nei supermercati per sfidare le più blasonate marche straniere di soft drink, mentre anche le sigarette Juwel – col parodico slogan di “Ho già provato il gusto dell’Occidente” – sono riapparse sul mercato.Difficile invece che la mitica Trabant, il cui tempo di attesa per averla era di circa dieci anni, possa mai competere con avversarie quali Golf e simili. Costeranno anche di più, ma almeno con queste non s’invecchia scarpinando.

Wednesday, December 07, 2005

Tutto è cominciato con Newton

Lo studio del colore ha interessato generazioni di studiosi. Da Platone a tutto il medioevo le ipotesi e le teorie si sono moltiplicate, ma il fondatore della moderna scienza del colore è considerato l'inglese Isaac Newton (1642-1727), più noto per la scoperta delle leggi che governano la gravitazione.
Le idee di Newton sul colore hanno riscosso consensi sia a livello scientifico che metodologico, anche se non sono mancate critiche molto severe, soprattutto da parte dello scrittore tedesco Johann Wolfgang Goethe (1749-1832).
Il primo importante concetto introdotto da Newton riguarda il fatto che è sempre necessario distinguere fra mondo fisico (dove tutto è oggettivo e misurabile) e mondo della percezione (dove tutto è soggettivo e non misurabile). L'idea non è nuova, ma Newton l'ha precisata e l'ha messa alla base della propria teoria sul colore.
La seconda importante osservazione di Newton è che la luce (del sole, ma anche di qualunque altra sorgente) è composta di radiazioni diverse, ognuna di diversa intensità. Le singole radiazioni e le relative intensità sono messe in evidenza dalla scomposizione che un prisma di vetro può fare della luce. Ognuna delle singole radiazioni, se arriva all'occhio separatamente dalle altre, causa la percezione di un determinato colore, più o meno brillante secondo la relativa intensità.

Monday, December 05, 2005

il colore nella grammatica della scrittura

Colore
Interrogativo: le scritture colorate - per quel poco che esiste. Il colore è la pulsione, e noi abbiamo paura d'insinuarne la traccia nei nostri messaggi; per questo scriviamo nero e non ci permettiamo che delle eccezioni sorvegliate e banalmente emblematiche: del blu per mettere in evidenza, del rosso per correggere. Ogni sbalzo di colore risulta più che mai incongruo: si possono immaginare delle missive gialle o rosa, o anche grigie? dei libri in rosso bruciato, in verde brughiera, in azzurro indaco?E tuttavia: chi può sapere se il senso delle parole non ne sarebbe mutato? Non certo, s'intende, il senso lessicografico che, al fondo, è ben poca cosa, ma il senso modale; poiché i nomi hanno dei modi, come i verbi, una maniera di portare, di dischiudere o di contrarre il soggetto che li enuncia. Il colore dovrebbe far parte di questa grammatica sublime della scrittura, che pur non esiste: grammatica utopica e nient'affatto normativa.
da "Variazioni sulla scrittura", Roland Barthes, 1972

L'utopia di Barthes, quella di una scrittura che affida sensazioni, significati ed emozioni anche al colore, è diventata realtà per chiunque scriva testi destinati ad essere letti sullo schermo di un computer. Testi che una volta vestiti di giallo, rosso, azzurro o viola, magari non cambiano del tutto di significato, ma di toni, espressioni e sfumature sicuramente sì. A contatto con il colore, le parole possono scaldarsi o raffreddarsi, respingere o sedurre, rafforzare o sminuire la credibilità dell'autore.Per un web writer il colore fa parte della "grammatica sublime della scrittura": il testo va pensato, immaginato, progettato anche a colori, nello spazio concreto della pagina in cui dovrà vivere e comunicare. E' con un cambio di colore che le parole possono saltare fuori, ammiccare, dire al lettore "leggimi", oppure "qui si parla di ...", cioè aiutare l'autore a costruire quella mappa testuale e visiva insieme che dovrebbe essere ogni buona pagina web. Una mappa fatta di parole chiave colorate che costituiscono, già al primo sguardo, un livello di lettura a sé. O una mappa di box con sfondi colorati diversi che delimitano le diverse sezioni. Sul web il colore non costa nulla e non occupa memoria: imparare ad accostare e a mescolare parole e colori "per vedere l'effetto che fa" è un esperimento che vale sempre la pena di tentare, magari andando a lezione dai grandi sperimentatori delle avanguardie pittoriche di quasi un secolo fa.

La strada

La strada e la piazza intesi come elementi vitali di un complesso architettonico, riassumono tutti quegli aspetti che connotano il vivere urbano: pieni, vuoti, luci, ombre, suoni e silenzi.
Un insieme di "contrasti simultanei" come li definisce Bruno Munari, uniti in un generale equilibrio di fasi opposte che si riflette in un equilibrio psicologico e semantico.